Solo nell’accaduto c’è una perfezione incontrovertibile. Più che nel resto, soprattutto in
quello che non tornerà c’è lo stagliarsi preciso delle cifre che hanno
portato all’armonia del risultato. Lentissimamente il processo, anche se errato, rilascia alla
vista il contenuto attorno al quale la forma si era scolpita. Il
passato, formato, lascia uscire l’interno delle cose. È qualcosa che non avremmo
  io o tu egli noi voi loro  potuto arrestare
e questo completo non controllo è anche l’ecosistema che permise la nascita
di quel qualcosa. Crollo sotto gli eventi o crollo che porta agli
eventi stessi, in ogni caso siamo stati una soglia, una parola ombra
che si muove piano e affievolisce e riappare dopo il disfarsi di
una nuvola. Eri, ero, e più di tutto sei, siamo: qui. Qui
finché ricorderò il fatto che eri qui. Tanto è il tempo che
sei svanita, tanto è il tempo che esisti ancora, la misurazione del
tuo volume è equivalente alla misurazione del silenzio che hai lasciato, parte
di te è ovviamente il vuoto dopo. Questa bad company della torta
è la stonatura che rende il tuo concerto perfetto, sotto la bottarella
di questa imperfezione il pubblico cade ai tuoi piedi e si spella
le mani e chiede ancora, come un drogato di bis. Loro come
me desiderano il tuo rifiuto, il non averti avuta, la violenza del
tavolino dove saresti dovuta essere seduta. Mentre tu dormi otto ore come
un ghiro e durante la notte la tua pelle si rilassa, qualcuno
ancora discute di come hai lasciato la sala, di come vieni, di
come vai, di come hai parlato, di cosa e quanto. Ma gli
astanti non ricordano tanto il focus della performance, quanto la lentezza di
un suono indistinto, anzi il rumore puro di una frequenza. Ricordano un
discorso di perle vomitate, il suo profumo sparso come un regalo aperto
e vuoto, una confidenza fatta di fiato, senza note, senza lemmi e
non udibile se non entro qualche centimetro di distanza. Queste comunicazioni avvenivano
in maniera fioca perché stavi lavorando non per essere davvero  dove
eravamo, ma per costruire uno scafandro in una separata sede mentale, stavi
lavorando per diventare la cosa più potente: un ricordo.
Solo nell’accaduto c’è una perfezione
incontrovertibile. Più che nel resto,
soprattutto in quello che non
tornerà c’è lo stagliarsi preciso
delle cifre che hanno portato
all’armonia del risultato. Lentissimamente il
processo, anche se errato, rilascia
alla vista il contenuto attorno
al quale la forma si
era scolpita. Il passato, formato,
lascia uscire l’interno delle cose.
È qualcosa che non avremmo
  io o tu
egli noi voi loro 
potuto arrestare e questo completo
non controllo è anche l’ecosistema
che permise la nascita di
quel qualcosa. Crollo sotto gli
eventi o crollo che porta
agli eventi stessi, in ogni
caso siamo stati una soglia,
una parola ombra che si
muove piano e affievolisce e
riappare dopo il disfarsi di
una nuvola. Eri, ero, e
più di tutto sei, siamo:
qui. Qui finché ricorderò il
fatto che eri qui. Tanto
è il tempo che sei
svanita, tanto è il tempo
che esisti ancora, la misurazione
del tuo volume è equivalente
alla misurazione del silenzio che
hai lasciato, parte di te
è ovviamente il vuoto dopo.
Questa bad company della torta
è la stonatura che rende
il tuo concerto perfetto, sotto
la bottarella di questa imperfezione
il pubblico cade ai tuoi
piedi e si spella le
mani e chiede ancora, come
un drogato di bis. Loro
come me desiderano il tuo
rifiuto, il non averti avuta,
la violenza del tavolino dove
saresti dovuta essere seduta. Mentre
tu dormi otto ore come
un ghiro e durante la
notte la tua pelle si
rilassa, qualcuno ancora discute di
come hai lasciato la sala,
di come vieni, di come
vai, di come hai parlato,
di cosa e quanto. Ma
gli astanti non ricordano tanto
il focus della performance, quanto
la lentezza di un suono
indistinto, anzi il rumore puro
di una frequenza. Ricordano un
discorso di perle vomitate, il
suo profumo sparso come un
regalo aperto e vuoto, una
confidenza fatta di fiato, senza
note, senza lemmi e non
udibile se non entro qualche
centimetro di distanza. Queste comunicazioni
avvenivano in maniera fioca perché
stavi lavorando non per essere
davvero  dove eravamo, ma
per costruire uno scafandro in
una separata sede mentale, stavi
lavorando per diventare la cosa
più potente: un ricordo.

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